Laboratorio di Comunicazione Militante (1975-1979)

Il Laboratorio di Comunicazione Militante viene formato a Milano nel 1975 da Tullio Brunone, Giovanni Columbu, Ettore Pasculli, Paolo Rosa, giovani in maggior parte provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Brera e dalla Facoltà di Architettura, con la volontà di far “confluire l’esperienza politica in quella artistica”:
La prospettiva è quella di socializzare il più possibile con un certo modo di operare uscendo da una concezione dell’arte che secondo noi è veramente sbagliata; con questo deve essere chiaro che il nostro va inteso come un lavoro di tipo artistico, o culturale se vogliamo, ma di certo non soltanto un lavoro di tipo sociologico e politico”.
Il nome del collettivo esplicita la sua intenzionalità: riflettere sui temi della comunicazione mass-mediatica (per svelarne i meccanismi tesi alla diffusione del consenso) mediante la messa in opera di una pratica laboratoriale, volta a coinvolgere studenti e cittadinanza, che porterà alla fondazione della Fabbrica di Comunicazione, una ex-chiesa trasformata in luogo di incontro e confronto sui linguaggi espressivi contemporanei, di studio e di lavoro.
Il Laboratorio produce controinformazione, all’epoca definizione molto usata per indicare appunto un’informazione ‘altra’ da quella ufficiale, e sua finalità è quella di sollecitare nella gente la lettura critica dell’informazione “subita”, al di fuori degli spazi deputati all’Arte, cioè le gallerie.
Alla dimensione partecipativa si accompagna l’uso di diversi “moderni strumenti” di comunicazione: dalla polaroid, alla fotocopia, alla gigantografia, al videotape, non solo in quanto mezzo di “documentazione”, “sperimentazione” e “animazione” del lavoro di gruppo, ma come vera e propria ricerca poetico-visiva. Infatti attraverso la “recitazione” (registrata e mandata in video, oppure fotografata) veniva rivissuta quella determinata situazione che si voleva analizzare, cosicché il partecipante al laboratorio (spesso uno studente) poteva divenire lo speaker del telegiornale, il carabiniere che aveva scoperto un arsenale militare, un anonimo testimone intervistato in televisione, ma anche il soggetto di una foto segnaletica, a dimostrare il
meccanismo della “manipolazione della realtà” ad opera di chi detiene i mezzi di comunicazione di massa.
Come dichiarano gli artisti a proposito di Strategia d’informazione. Distorsione della realtà e diffusione del consenso : “Nell’ambito della mostra, attraverso un lavoro analitico di scomposizione, accostamento, taglio e ingrandimento delle immagini (e parole) usate abitualmente dal potere mediatico per indurre il consenso alla propria ideologia e alle proprie scelte, vengono fornite alcune ‘chiavi interpretative’ per svelare e comprendere i messaggi che ci vengono trasmessi quotidianamente attraverso i mass-media, al fine di evidenziarne le distorsioni e i contenuti impliciti e nascosti”.

In mostra viene riproposto, con un allestimento contemporaneo progettato dagli stessi componenti del gruppo, Strategia d’informazione. Distorsione della realtà e diffusione del consenso, esposto per la prima volta nel 1976 alla Rotonda di Via Besana a Milano e a Mantova alla Casa del Mantegna, poi nello stesso anno alla XXXVII Biennale di Venezia nella sezione curata da Enrico Crispolti “Ambiente come sociale”, l’anno successivo ad Alessandria presso la Casa della Cultura, con presentazione di Umberto Eco. Videoproiezioni, diapositive, fotografie, gigantografie, ritagli, materiali di studio, libri e pubblicazioni. Ad integrare questa documentazione di lavoro alcuni frammenti della mostra/laboratorio Immagine arma impropria, tenutasi nel marzo del 1978 presso il Palazzo della Permanente a Milano.
Infine la Fabbrica di Comunicazione, una esperienza artistica paragonata, da Marisa Emiliani Dalai, a quella della Public School di New York e le animazioni per la riappropriazione “artistica” dello spazio urbano, sfociate in alcune grandi feste popolari nelle principali piazze storiche del centro milanese.