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Un urlo ci salverà

Note sui recenti lavori di Tullio Brunone di Angela Madesani Berlino 2004

Quasi mai il luogo dove è ubicata una mostra determina le scelte poetiche degli artisti che vi partecipano. Ma, talvolta, di rado, può succedere. Così per Tullio Brunone in questa occasione. Che la galleria che ospita la mostra sia situata proprio a Berlino, una città in fase di radicale mutamento, nella zona est della città, adiacente alla Oranjenburg Strasse, a due passi dalla Sinagoga, dalla Hamburger Banhof e dal Centro sociale, ha fatto sì che questo schivo artista italiano, protagonista intelligente della scena della videoarte da oltre trent’anni, facesse delle scelte significative, fortemente influenzate dal luogo. Inoltre lo spazio della galleria è costituito anche da un seminterrato a forma di ciambella quadrata che prende luce da un cavedio centrale, dove sulle vecchie piastrelline color ocra stanno ancora delle scritte inneggianti a un cantante rock, che datano oltre trent’anni. Un richiamo all’allora inarrivabile mito americano e a uno dei suoi simboli, ritratto anche da Andy Warhol, Elvis Presley. Mi piace che lo stesso Brunone abbia segnalato che in questo spazio è vivibile la condizione del passaggio, quella che Joseph Conrad ha definito “linea d’ombra”, in un percorso certo di elaborazione, ma anche di mutamento, in questo caso radicale.
Si tratta come di una scoperta dell’archeologia del quotidiano, per trovare le tracce di un passaggio. Uno spazio, dunque, strettamente correlato a un certo tempo storico che ospita un lavoro sul tempo, in cui è una riflessione puntuale su diversi fattori. È la storia della Germania, di Berlino in particolare, ma è anche il tempo intenso della storia personale di Brunone. Una storia fatta di impegno lucido nel corso degli anni.
La sua storia artistica inizia alla fine degli anni Sessanta quando lavora sulla luce insieme a due persone che saranno per lungo tempo suoi compagni di strada, Paolo Rosa e Giovanni Columbu. I lavori di quegli anni sono proiezioni, schermi di rimando neoplatonico, in cui la luce diviene fonte di conoscenza e di verità. È quello un tempo particolare durante il quale l’impegno sociale e politico diviene preoccupazione precipua per molti artisti. Lo scopo della ricerca di Brunone, Rosa e Columbu ben presto analisi dei processi comunicativi. Nasce così nel 1976 il Laboratorio di Comunicazione Militante, che suscita un immediato interesse in ambito istituzionale, tanto da essere invitato, nello stesso anno, alla Biennale di Venezia. All’inizio degli anni Ottanta il gruppo si divide e ognuno prende la sua strada. Mi pare, tuttavia, interessante sottolineare il parallelismo dei loro cammini, anche se profondamente diversi.

Il lavoro in mostra rivela con chiarezza il senso della ricerca di Brunone degli ultimi anni, dove fondamentale è il coinvolgimento dello spazio, attraverso la totale mancanza di tecnologia visibile. Nella sua ricerca non è alcuna forma di spettacolarizzazione. Quello che lo interessa è il tentativo, ben riuscito, di spogliare le sue operazioni da elementi squisitamente dichiarati sul fronte della comunicazione di matrice socio-antropologica. Non vi sono dichiarazioni forti, affermazioni programmatiche. La scoperta della densità dei contenuti deve avvenire lentamente, attraverso l’osservazione .
Sulla copertina di un recente studio di Mario Perniola è la sintesi del pensiero contenuto nel libro , intitolato appunto Contro la comunicazione: “La comunicazione è l’opposto della conoscenza. È nemica delle idee perché le è essenziale dissolvere tutti i contenuti. L’alternativa è un modo di fare su memoria e immaginazione, su un disinteresse interessato che non fugge il mondo ma lo muove”. Potrebbe trattarsi di un inciso all’opera di Brunone, in cui mi pare di scorgere un coerente filo rosso tra le ricerche di tre decenni fa e ora. La denuncia della falsità della comunicazione ufficiale di quegli anni torna oggi raffinata e rafforzata in una denuncia ancora più forte nei confronti della gestione delle informazioni.
Quello che Brunone vuole fare è un’operazione di destrutturazione per analizzare i singoli meccanismi e dunque per comprendere il senso delle cose. Nella sua ricerca è il tentativo continuo di riuscire a e dunque a comprendere quello che l’immagine trasmette. La scelta di non servirsi dell’interattività, più diffusa del termine, in cui il pubblico è chiamato a intervenire è una scelta difficile, poco popolare, che pone l’opera ben oltre una facile dimensione giocosa e che si pone, quindi, in controtendenza rispetto a molte operazioni in circolazione.
Ma Brunone è un artista fuori dal coro, lo è sempre stato. Dove fuori dal coro diviene complesso, talvolta scarsamente appagante. In tal senso si determina anche l’allontanamento da l sistema dell’arte alla moda. In tutto questo è un pensiero relativo allo spettatore, a cui l’opera si rivolge, la cui crescita deve essere, comunque, individuale, lontana dalla massificazione delle coscienze, in cui il più delle volte è la perdita della conoscenza, del controllo intellettuale e, talvolta, addirittura fisico. Il suo è un tentativo di stimolazione visiva, intellettuale da operare sullo spettatore.
Per Brunone l’elemento interessante del linguaggio tecnologico è la capacità di giungere a ambiti inesplorati grazie alle sue peculiarità medianiche.
Il lavoro presente nella zona sottostante della mostra, intitolato ???? è complesso. I soggetti sono il tempo, la memoria personale. Lo spettatore ovunque si muova è sempre dalla stessa immagine, lo spazio si muove con lui, in una sorta di oppressione da cui è impossibile fuggire.
Quando il visitatore, che gira, perseguitato dallo spazio, non ne può più, si ribella, cerca di uscire dal soffocamento , urla. In quel momento appaiono le immagini, partono i filmati. Una sorta di salvazione, di risposta positiva agli eventi. Sono proiettati da quattro camere ai lati della stanza. Hanno per soggetto il tempo. Uno è un filmato antico. Un cortometraggio negli anni Venti dal padre di Tullio a Alessandria d’Egitto. Vi è come il tentativo di andare a frugare nei cassetti nella propria storia personale. In un’operazione che copre al tempo stesso una relazione spaziale doppia. A lunga gittata, quella dei filmati, breve, quella delle immagini che seguono il movimento di coloro che guardano, come in un labirinto mentale. Il tempo dell’hic et nunc e il tempo della vita sono posti in relazione.
In tutto questo, accanto al riferimento personale, bisogna accostare il riferimento al tempo in cui viviamo. L’uomo è come imprigionato dalle immagini, dalla comunicazione da una che lo soffoca e che lo fa veicolare in un circuito chiuso, da cui è difficile trovare una via d’uscita. Il nucleo portante della ricerca è il senso del limite, della soglia in cui è forse impossibile stabilire se ci si trovi dentro o fuori. Problematiche più che mai legate al tempo nostro, in cui è difficile collocarsi, trovare una posizione, un ruolo, attraverso cui dare un senso al cammino. Forse il senso si coglie proprio attraverso il recupero della memoria personale nel tentativo di guarire da una sindrome di Alzheimer collettiva. Dove soglia, limite si collegano più o meno chiaramente. Noto e ignoto per tornare dunque al nucleo attorno al quale ruota questa ricerca. Limite è anche muro in una città segnata dalla presenza di un costruito per dividere realtà uguali e diverse al tempo stesso e per cercare una pace forzosa per il resto del mondo. Un muro che ha cambiato la storia d’Europa dell’ultimo cinquantennio.
E poi la memoria di un passato che in Germania è, più che in altri luoghi, di lutto, dolore, senso di colpa nei confronti di una storia che come un masso grava sulle coscienze di chi l’ha vissuta, ma anche di chi ne ha solo sentito parlare dai parenti più vecchi. Un masso difficile da scrollarsi di dosso, persecutorio proprio come le che girano attorno allo spettatore in continuazione. In cui la soluzione è data proprio dalla consapevolezza delle cose. Consapevolezza che non può che essere data dalla conoscenza.
Certo in un momento della storia dell’arte dove il tentativo è quello di creare l’evento attraverso azioni più o meno esasperate, che devono finire sulle prime pagine dei giornali o meglio sono fatte appositamente per finirci, operazioni come quella di Brunone non possono avere vita facile. Almeno nell’immediato, io credo, ma la forza della sua ricerca si vedrà con il tempo, come capita per le opere maggiormente significative. La sua risposta alle cose, le urla nello spazio sotterraneo, è lo sdegno, rappresentato dalla forza dell’urlo.
L’arte entra, ancora una volta, a esaminare i meccanismi contorti del quotidiano. L’auspicio è quello di riuscire a non soffocare più le grida, a urlare sempre più forte, in modo da creare una nota stonata fuori dal coro. Il coro della video arte, dell’arte, della società, dell’informazione, dell’esistenza. Così si riesce a mutare non creando operazioni effimere in grado di scatenare comunicazione a iosa sempre a disposizione di un potere poco incline a ascoltare operazioni di vera denuncia.
Nella parte superiore della galleria è un lavoro di una certa complessità, un Autoritratto soggettivo di chi si sta guardando.
Si tratta di un foglio di ferro con un taglio quadrato, dove dietro c’è uno specchio, che da una parte è vetro, così da ingenerare ambiguità, ma anche una camera che riprende chi si guarda. La luminosità del monitor produce un’immagine a metà. Il risultato finale è un ritratto dove una parte della faccia non combacia con l’altra dando vita a un effetto straniante, sconcertante. Quando gli altri ci guardano siamo diversi da come ci pare di essere. La sovrapposizione tra l’occhio destro e l’occhio sinistro crea uno spaesamento inquietante. Anche qui il filo rosso è il limite. Siamo al di qua o al di là della soglia?
Siamo noi a vivere il luogo o è il luogo che fa viver e noi?
Il richiamo a Lewis Carroll e al suo attraversamento dello specchio è certo.
Quello di Brunone è un lavoro coerente. Una relazione fatta di collegamenti legati ai diversi momenti del suo lavoro nel corso degli anni. Prima con un’operazione di matrice sociale, legata al concetto di partecipazione. Con una riflessione sul ruolo dell’intellettuale in un particolare momento storico in cui ci si poneva il problema della partecipazione attiva. Oggi la riflessione ancora sul concetto di comunicazione e di partecipazione è maggiormente legata all’individuo e al suo ruolo rispetto alla società.
Così la ricerca di Brunone, lungo gli ultimi trent’anni, determinata da un’articolata dimensione progettuale, è caratterizzata da un profondo senso etico, radicato nella sua funzione sociale, che la pone ben al di là delle mode passeggere di cui certa “arte”è troppo spesso prigioniera, vittima e solo appare ntemente , carnefice.

 

 

 

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