RIFLESSIONI
Bisogna
che io mi immerga incessantemente nell'acqua del dubbio
Ludwig Wittgenstein.
Una
particolare emozione, un forte senso di straniamento investe il pubblico
appena entrato nello spazio della galleria, diventato per l'occasione
un vero teatro dei sensi. Teatro dove i soggetti si trovano ad essere
i protagonisti di un'esperienza artistica che mette in crisi i concetti
basilari dell'estetica tradizionale. La natura dell'arte interattiva
provoca questo radicale spostamento concettuale suggerendo nel contempo
nuove strade da esplorare alla sensibilità. La sensazione provata
è quella di superare un limite, come attraversando lo specchio
di Alice o entrando dentro lo schermo: il limite, la netta separazione
tra realtà esterna e soggettività interna si diluisce,
diventa morbido, malleabile. Non è un caso che le metafore
linguistiche usate, gli specchi e gli schermi rimandino ad un immaginario
virtuale, fluido, instabile nella sua vita di luce riflessa.
Ed è questa la novità più eclatante perché
bisogna ricordare che l'uomo occidentale ha sempre avuto un'attitudine
frontale e distante nei confronti del mondo circostante, arte compresa.
La nostra psicologia cognitiva è stata da sempre dominata dagli
occhi, dall'immagine della riflessione speculare. Infatti in greco
la parola '"theoria" significa visione, qualcosa da guardare-percepire,
come d'altra parte "theatron" significa il luogo dello sguardo.
Il fattore determinante non è tanto che l'immagine venga dal
mondo esterno (teatro) o che venga dalla mente (teoria), quanto la
consapevolezza del fatto che gli uomini sono imprigionati in un personale
punto di vista.
Riflessioni, la videoinstallazione interattiva presentata da Tullio
Brunone, permette agli spettatori di attraversare il limite per entrare
in un altro mondo, un ambiente suggestivo, un enorme acquario immerso
in una verde luminescenza. La luce ambientale proviene da una parola
araba scritta al neon, parola misteriosa, muta per noi occidentali,
parola-segno, elemento visivo, un frammento di un universo a noi completamente
sconosciuto. Questo stupore iniziale, questa sensazione di abitare
un luogo simbolico, diventa emozione pura quando scopriamo che per
attivare il dispositivo video bisogna produrre dei suoni, un qualsiasi
suono, mmagini, un racconto video costituito da materiali diversi
che presentano frammenti di vita, di una soggettività in tutta
la sua complessità. L'artista costruisce un potente autoritratto
elettronico che prende forma soltanto nel dialogo con il pubblico,
per cui appena ritorna il silenzio, la sua soggettività riflessa
scompare. L'installazione richiede allo spettatore una vera interazione
comunicativa, fisica, in un dare e ricevere che si attualizza permanentemente,
sottolineando anche lo strano rapporto tra il tempo reale degli orologi
e i tempi soggettivi della memoria, del desiderio, dell'azione. L'opera
riporta gli elementi simbolici di una lingua sconosciuta sul piano
percettivo, corporale, permettendo la nascita di dialoghi interculturali
inattesi, sorprendenti, che coinvolgono i diversi livelli della realtà.
Perché i linguaggi della comunicazione umana sono tanti, perché
anche il corpo "parla" il suo linguaggio, perché
non solo gli occhi ricevono informazioni comunicative. Si tratta fondamentalmente
di stabilire nuovi rapporti ed equilibri tra i sensi, ricombinando
i più diversi stimoli percettivi nella creazione di sinestesie
sempre inedite.
Tullio Brunone ci guida, come una sorta di sciamano elettronico, in
questo viaggio sensoriale di amplificazione della coscienza, alla
ricerca del tesoro più pregiato a cui possiamo ambire gli esseri
umani: la nostra voce più intima, più vera, la nostra
voce personale.
Mirtha
Paula Mazzocchi
Mirtha Paula Mazzocchi